serie
Enti
codice
0000000436
intestazione autorizzata
Consiglio di stato, Napoli
contesto: Regno di Napoli
date: 1734 - 1759
Consiglio di stato e di reggenza, Napoli
contesto: Regno di Napoli
date: 1759 - 1768
Consiglio ordinario di Stato, Napoli
contesto: Regno di Napoli; Repubblica partenopea; Regno di Napoli
date: 1768 - 1806
Consiglio ordinario di Stato, Napoli
contesto: Regno di Napoli; Regno delle due Sicilie
date: 1806 - 1860
date di esistenza
1734 - 1860
storia
Alla morte di Ferdinando VI, Carlo di Borbone successe al trono di Madrid con il nome di Carlo III. Ciò determinò l'irreversibile processo di divisione delle due corone: quella di Spagna e quella di Napoli e Sicilia.
Con prammatica del 1759, Carlo di Borbone sancì a tutti gli effetti la decisione di assumere la corona di Spagna, rinunciando definitivamente alle corone italiane, scelse quale suo successore al trono il terzogenito Ferdinando, di appena otto anni, e lo affidò ad un "Consiglio di Reggenza", i cui membri, fra i maggiori rappresentanti del Consiglio di Stato, avrebbero preso tutte le decisioni a maggioranza. Nella stessa prammatica dichiarò il figlio "Sovrano dei miei Stati e Padrone dei miei Beni Italiani" e lo affidò alle cure particolari del ministro Tanucci, elemento di spicco della politica del periodo carolino, e del principe di San Nicandro, incaricato dell'educazione del giovane. Bernardo Tanucci fu preposto nel 1734 alla Segreteria di Giustizia di recente istituzione, ma si distinse soprattutto nel periodo della Reggenza e nei primi tempi del regno di Ferdinando IV. Il Consiglio non aveva facoltà di deliberare su questioni di pace e di guerra: divenne prassi, dunque, sottoporre a Carlo le questioni di maggiore urgenza, consentendo una forte ingerenza spagnola nelle vicende italiane e creando un rapporto di continuità fra il precedente governo e il nuovo. Artefice di ciò, fu soprattutto il Tanucci che, nei primi anni del governo di Ferdinando, in qualità di Segretario di Stato degli Affari esteri e Governatore di Casa Reale, intrattenne un fitto rapporto epistolare con Carlo, informandolo anche delle questioni meno rilevanti.
I maggiori successi nel periodo della reggenza del Consiglio furono conseguiti in politica estera. Si perseguirono, infatti, le stesse direttive del governo carolino, intraprendendo lunghe e difficili trattative diplomatiche con l'Austria che si concretizzarono nel matrimonio di Ferdinando con Maria Carolina (7 aprile 1768).
In politica interna, le difficoltà considerevoli del Regno di Napoli dovute ad antichissimi problemi che già Carlo aveva invano cercato di ridimensionare, impedirono il buon esito degli sforzi del Tanucci. Le maggiori difficoltà dipendevano dal persistere dei diritti feudali, causa di soprusi ed ingiustizie, oltre che di un malessere generale ed una profonda miseria alla base della piaga del banditismo. A ciò si aggiungeva il deficit finanziario, legato in particolar modo allo sperpero del periodo carolino e alle difficoltà di versamento dei tributi diretti da parte dei membri delle comunità in particolari periodi di carestia.
Nel 1776, il Tanucci, pressato dalle idee riformiste e dall'ingerenza di Maria Carolina negli affari del Regno, comunicò a Carlo di aver rassegnato le sue dimissioni a favore di Giuseppe Bologna e Gravina, marchese della Sambuca, diplomatico napoletano a Vienna, che avrebbe attuato un radicale cambiamento di indirizzo della politica napoletana.



Sin dall'epoca di Carlo di Borbone il sovrano fu affiancato da un Consiglio di Stato, con il compito di assisterlo e di coadiuvarlo nelle sue determinazioni. Alla partenza di Carlo fu anche Consiglio di Reggenza, fino al 12 gennaio 1767, quando Ferdinando IV, terzogenito di Carlo, compì i sedici anni d'età.
Con decreto 15 maggio 1806 Giuseppe Napoleone istituì un Consiglio di Stato incaricato di discutere tutti gli oggetti a esso sottoposti dal re in base al rapporto di uno dei ministri. Il Consiglio, al cui parere si doveva necessariamente ricorrere "in materia d'imposizioni", era presieduto dal sovrano o da uno dei consiglieri a ciò delegato, e prevedeva un segretario generale e un bibliotecario. Il successivo decreto del 5 luglio 1806 divise il Consiglio in quattro sezioni, "di Legislazione", "di Finanze", "dell'Interno", "di Guerra e Marina", ciascuna delle quali era presieduta da un consigliere di Stato nominato dal re ogni anno. I presidenti convocavano le loro rispettive sezioni per la spedizione degli oggetti rinviati dal re quando lo giudicavano necessario o quando ne venivano richiesti dal ministro competente. Essi, inoltre, dovevano portare al sovrano il progetto redatto nelle rispettive sezioni, per far sì che esso fosse discusso dal Consiglio di Stato sul rapporto del presidente o di uno dei membri della sezione da questi designato.
La legge sulla formazione delle leggi e decreti del 17 settembre 1806 rafforzò la centralità del ruolo della nuova istituzione sul piano legislativo. L'articolo 1 stabiliva che la proposta di una legge venisse fatta dal ministro sotto la cui ispezione ricadeva la materia relativa, per mezzo di un rapporto. Se il parere del re era favorevole, il progetto si inviava alla sezione competente del Consiglio di Stato, la quale aveva il compito di esaminarlo e di fissarne il tenore (art. 2). La sezione, quindi, restituiva l'incartamento al sovrano, accompagnandolo, ove ne fosse il caso, con una relazione del presidente (art. 3). A questo punto, se il re riteneva opportuno rimettere al Consiglio di Stato il progetto redatto dalla sezione, quest'ultimo veniva restituito al presidente della sezione medesima (art. 4). Gli affari urgenti, previo assenso regio, potevano essere proposti al Consiglio di Stato con un rapporto immediato, redatto dal ministro competente per materia o da un consigliere delegato (art. 5). L'articolo 11 stabiliva che le risoluzioni prese per mezzo di decreti fossero anch'esse sottoposte alla discussione del Consiglio. Il decreto 24 novembre 1807, contenente il regolamento per l'applicazione della legge 17 settembre 1806, precisò poi che il re poteva inviare al Consiglio, per udirne l'avviso, non solo i progetti di leggi e decreti, ma qualsiasi questione che richiedesse un semplice parere o comportasse una decisione non propriamente di carattere legislativo. La legge 24 gennaio 1807 attribuì inoltre al Consiglio la risoluzione delle controversie tra fisco e privati per la censuazione delle terre del Tavoliere.
Il decreto del 10 agosto 1807 determinò la creazione dell'ufficio degli uditori, e con altri due decreti del 13 e del 14 agosto successivi si provvide rispettivamente alla nomina dei primi uditori e alla loro distribuzione nelle varie sezioni: tre per la sezione di Legislazione e Ministero della Giustizia, tre per quella dell'Interno e relativo Ministero, due per la sezione Finanze; non se ne nominò alcuno, al momento, per la sezione Guerra e Marina. Come rileva Antonio Saladino, con l'istituzione degli uditori si volle stabilire un organo che funzionasse da collegamento tra le sezioni del Consiglio di Stato e i corrispondenti ministeri. Compito dei nuovi funzionari era quello di partecipare alle sedute del Consiglio, senza iniziativa né voto, per dare ai consiglieri tutti i chiarimenti intorno alle cause che avevano indotto il ministro a fare rapporto al re sulla questione in discussione, nonché per fornire tutti i documenti necessari agli stessi consiglieri onde decidere sui problemi trattati; per questo gli uditori avevano libero accesso ai ministeri ed erano autorizzati a esaminare gli archivi dei dicasteri e a estrarne gli atti. Dal canto suo ogni ministro aveva licenza di segnare il nome dell'uditore che avrebbe dovuto occuparsi della pratica; una volta pervenuta quest'ultima alla competente sezione del Consiglio di Stato, il presidente di sezione invitava l'uditore a intervenire alle sedute nel cui ordine del giorno era inscritto l'affare. Con decreto del 24 ottobre 1810 l'ufficio degli uditori venne interamente ristrutturato: oltre a fissare i requisiti necessari per l'ammissione alla carica, tale provvedimento divise il servizio in ordinario e straordinario. Il primo comprendeva la classe degli uditori tradizionali, in numero di sedici (quattro per sezione), nonché la classe degli uditori non appartenenti al Consiglio di Stato; al servizio straordinario, infine, erano ascritti gli uditori incaricati di lavori speciali presso le intendenze provinciali.
I due grandi decreti del 24 ottobre 1809 riorganizzarono il Consiglio e ne definirono le funzioni contenziose, che spaziavano dalla regolamentazione dei conflitti di attribuzione tra uffici amministrativi e corpi giudiziari alla revisione delle decisioni della corte dei conti e delle sentenze del Consiglio delle prede marittime, all'approvazione dei budjets delle amministrazioni comunali con rendita superiore a cinquemila ducati. Il contenzioso era affidato a una Commissione di quattro relatori e quattro uditori, presieduta dal ministro della giustizia.
In seguito alla Restaurazione, il Consiglio di Stato fu soppresso per mezzo del decreto 17 luglio 1815, emanato da Ferdinando IV. L'articolo 1 di tale decreto prescriveva che "tutti i richiami e querele" prodotti contro le ordinanze e decisioni dei Consigli d'Intendenza di Napoli e delle province su oggetti di amministrazione comunale, o su altri affari che erano soliti essere rivisti dall'abolito Consiglio, dovevano da allora in poi essere discussi in seno alla Corte dei Conti, la quale subentrava, così, alla passata istituzione nelle facoltà riguardanti il contenzioso amministrativo.

Riorganizzato dalla legge del 6 gennaio 1817 che ribadì la proporzione di quattro a uno dei membri scelti fra sudditi continentali e sudditi siciliani stabilite dalla precedente legge dell'11 dicembre 1816, il Consiglio ordinario di Stato, poi detto più semplicemente Consiglio di Stato, ebbe una disciplina formale con il regolamento del 4 giugno 1822, riguardante anche il Consiglio dei ministri e la procedura per la formazione degli atti legislativi. Nel Consiglio dei ministri, presieduto dal medesimo consigliere chiamato a presiedere il Consiglio ordinario di Stato in assenza del re e del duca di Calabria, "si conferiranno e si prepareranno" tutti gli affari da presentare alla risoluzione sovrana, con l'importante eccezione del ministro degli affari esteri, "per quanto riguarda la politica e la corrispondenza diplomatica", e di quello della polizia generale per gli affari riservati, ma con l'obbligo per quest'ultimo di mantenere "dirette relazioni col Presidente del Consiglio dei ministri", per gli affari di alta polizia. Il ministro di Casa reale inoltre portava in Consiglio dei ministri solo gli affari che avessero relazione con gli altri dipartimenti, per poi proporli direttamente al re, senza passare per il Consiglio di Stato. Ogni ministro era incaricato di impartire gli ordini necessari "per la preparazione degli affari del suo dipartimento e per la esecuzione delle disposizioni delle leggi" e delle altre risoluzioni sovrane. In questo contesto al ministro presidente spettava il compito di trasmettere gli ordini reali sia al Consiglio dei ministri che al Consiglio di Stato, di regolare le discussioni del Consiglio dei ministri e di determinare "se gli affari discussi [al suo interno] abbiano bisogno di maggiori schiarimenti prima di riferirsi a Noi nel Consiglio di Stato" e di richiedere "le nostre risoluzioni su qualsivoglia dubbio che potrà impedire la discussione degli affari nel Consiglio dei ministri".
Il Consiglio ordinario di Stato, di norma presieduto dal re, ma, in assenza di questo e dell'erede al trono, dal ministro presidente, formato dai ministri segretari di Stato e da un imprecisato numero di consiglieri di Stato nominati ministri di Stato, esaminava quindi tutti gli affari amministrativi, le proposte per la provvista delle cariche e degli impieghi, per le pensioni e per le grazie, i progetti di leggi, di decreti e di regolamenti generali, che il re, oltre a deciderne l'approvazione, poteva rinviare alla discussione delle Consulte, peraltro non ancora attivate al momento della pubblicazione del decreto. Dei pareri espressi e delle decisioni del sovrano si doveva tenere un protocollo, mentre i ministri dovevano render conto in Consiglio dell'esecuzione delle risoluzioni del re. In base al r.d. 11 gennaio 1831, segretario del Consiglio di Stato fu il Segretario particolare del re, istituito con lo stesso provvedimento.
documentazione collegata
Consiglio ordinario di Stato
fonti
P. FRANZESE: L'Archivio del Ministero della Presidenza del Consiglio dei ministri del Regno delle Due Sicilie, in Quaderni della Scuola di Archivistica, Paleografia e Diplomatica, Luciano, Napoli, 1998, pp. 9-34.
G. LANDI: Istituzioni di diritto pubblico del Regno delle Due Sicilie (1815-1861), Napoli, Giuffrè, 1977, tomo I, pp. 151 - 159.