serie
Enti
codice
0000000134
intestazione autorizzata
Ministero dei dipartimenti Italici
contesto: Regno di Napoli
date: 1814
date di esistenza
28.01.1814 - 11.05.1814
storia
Rientrato in Italia dopo Lipsia, Murat, aderito al fronte antifrancese per salvare il proprio regno, procedette, fra il dicembre 1813 ed il gennaio 1814, all'occupazione militare di Lazio, Umbria, Marche, Toscana, e di Bologna e di Ferrara, conducendo così operazioni militari contro il regno di Eugenio Beauharnais. A seguito del ritorno del papa Pio VII in Italia, restituì a questo il Lazio e l'Umbria. Riprese le ostilità contro il Regno Italico nel mese di aprile, Murat si spinse fin quasi a Piacenza; informato dell'armistizio firmato a Schiarino-Rizzino, presso Mantova, sospese le operazioni militari. Nel mese di giugno si ritirò nelle Marche. In un contesto politico radicalmente mutato, dichiarata guerra all'Austria il 15 marzo 1815, nel corso della quale pubblicò da Rimini il famoso proclama, Murat, dopo essersi spinto fino a Bologna, Modena e Ferrara, fu costretto prima ad abbandonare la Romagna e poi, dopo aver concesso a Pescara una costituzione il 12 maggio, a fuggire, lasciando al generale Carrascosa l'incarico di trattare l'armistizio con gli Austriaci.
Il Ministero dei Dipartimenti italici fu istituito con decreto dato in Roma il 28 gennaio 1814, mediante il quale al ministro dell'Interno Giuseppe Zurlo veniva affidato "per una commissione speciale" il dicastero che si sarebbe dovuto prendere cura della giustizia, del culto, delle finanze e di ogni altro ramo di amministrazione interna nei Dipartimenti meridionali del Regno italico provvisoriamente occupati dalle truppe di Gioacchino Murat. Con altro decreto dello stesso giorno si completava l'assetto del governo provvisorio dei territori annessi attraverso l'estensione a tutti i dipartimenti di volta in volta conquistati delle competenze del Consiglio generale di amministrazione, organo creato a mezzo di decreto emanato in Roma il precedente 22 gennaio, pochi giorni prima -dunque- che fosse creato lo stesso Ministero di cui il Consiglio andò, di fatto, a costituire l'ufficio centrale.
Stabilito a Roma, il Consiglio generale si riuniva almeno tre volte la settimana, ed era composto da un presidente, tre consiglieri (il cui numero poteva essere allargato), un intendente generale delle finanze -i cui uffici erano ripartiti in due divisioni, e che in virtù del decreto dato a Bologna il 14 febbraio 1814 presiedeva il Consiglio di liquidazione e del debito pubblico, a sua volta costituito da tre consiglieri e un segretario-, un segretario generale e quattro uditori. Quando fungeva da Corte di Cassazione il Consiglio si scindeva in due sezioni; in tal caso, ai membri ordinari erano aggiunti altri sei funzionari dell'ordine giudiziario, scelti fra i più ragguardevoli presidenti e procuratori generali delle corti e tribunali.
Per quanto concerne la struttura organizzativa, l'organo centrale del governo dei territori occupati da Murat si divideva in tre dipartimenti, capeggiati da altrettanti direttori generali. Il primo dipartimento comprendeva l'amministrazione militare di terra e di mare, nonché quella del settore dei boschi e delle foreste. Il medesimo reggeva anche l'Amministrazione generale delle poste, formata da un amministratore generale e da un cassiere generale -residenti in Roma-, da tre ispettori incaricati del servizio (uno per i due Dipartimenti di Roma e del Trasimeno, il secondo per i tre Dipartimenti dell'Arno, del Mediterraneo e dell'Ombrone, il terzo per i cinque Dipartimenti del Metauro, Tronto, Musone, Reno e Rubicone), dai direttori dipartimentali, dai direttori delle officine particolari, dai controllori, dai vari maestri di posta e corrispondenti corrieri.
Dal secondo dipartimento dipendevano il culto e tutti i rami dell'amministrazione interna che erano attribuiti al Ministero dell'Interno a Napoli, in Francia e nel Regno italico. Fra questi ultimi si annoverava il settore dei lavori pubblici, regolato da un'apposita Commissione, fondata con decreto del 17 febbraio 1814 dato a Bologna. La costituivano tre ingegneri civili e un ingegnere in capo, e si riuniva una volta la settimana sotto la presidenza del direttore generale del dipartimento. Detta Commissione aveva a sua volta alle proprie dipendenze (decreto del 2 marzo 1814 emanato a Bologna) il Servizio di ponti e strade.
Il terzo dipartimento, infine, si occupava degli affari relativi alla giustizia.
Diversi altri uffici completavano, poi, l'organizzazione del Ministero dei Dipartimenti italici. In primo luogo, mediante due decreti emessi a Napoli il 22 e il 28 gennaio 1814, veniva istituita la carica di direttore generale di polizia, dipendente dal ministro dei Dipartimenti italici. Ai suoi ordini operavano tre commissari generali, uno per Roma e il Trasimeno, uno per la Toscana, uno per gli altri territori già appartenuti al Regno d'Italia. Successivamente un decreto emanato a Bologna il 15 febbraio portò a quattro il numero totale dei commissari: due distinti ufficiali di polizia andarono, infatti, ad esercitare le loro funzioni rispettivamente ad Ancona (Dipartimenti della Marca) e Bologna (Dipartimenti del Reno e Rubicone).
Per quanto riguarda, poi, l'amministrazione della giustizia, con decreto dato in Roma il 28 gennaio 1814 si stabilivano i Consigli di grazia, formati dal Ministro dei Dipartimenti -in veste di gran giudice- da due membri ordinari del Consiglio generale di amministrazione, e da due magistrati appartenenti alla Corte di Cassazione provvisoria.
L'ennesimo decreto emesso in Roma il 28 gennaio 1814 creava un organo temporaneo di giurisdizione, facente capo ad alcuni "commissari" di diretta nomina sovrana, che corrispondevano con il Consiglio di amministrazione di Roma e al tempo stesso riferivano al ministro per i Dipartimenti "lo stato degli affari, delle loro occupazioni e degli oggetti più importanti della loro commissione".
Competenza limitata ai soli Dipartimenti degli stati romani avevano tre organi giudiziari, preposti a "conoscere de' delitti de' militari": si tratta di due Consigli di guerra ed uno di "rivisione permanente" (decreto 14 febbraio 1814 dato in Bologna), formati esclusivamente da ufficiali romani di mare e di terra.
L'amministrazione militare beneficiava, inoltre, di una gestione parzialmente autonoma degli affari relativi alle finanze. Infatti il decreto emanato a Bologna il 17 febbraio 1814 fissava presso il quartier generale di Murat un "Direttore Generale del tesoro dell'armata", a cui erano subordinati tutti i contabili "incaricati di ricevere o pagare per conto del Tesoro dell'armata". Dal direttore, quindi, dipendevano anche le tre casse centrali stabilite con decreto dello stesso giorno, le prime due affidate ai ricevitori generali dei Dipartimenti di cui queste città erano capoluogo, l'altra, invece, al cassiere delle finanze. Una cassa, dunque, con sede a Roma, doveva ricevere i versamenti dei Dipartimenti del Tevere e del Trasimeno; una seconda, posta a Firenze, raccoglieva i fondi provenienti dai Dipartimenti della Toscana; alla terza, in Bologna, affluivano i gettiti di tutti gli altri territori già appartenuti al Regno italico. Una rete di funzionari locali, detti "pagatori", provvedeva poi alle spese dell'armata.
Il governo dei territori annessi da Murat durante la spedizione del 1814 non trascurò neppure di regolare l'emissione della valuta, da fabbricarsi nella zecca di Bologna. Fu creata, infatti, un'apposita commissione (decreto 15 marzo 1814 da Reggio) "per la verificazione del peso e titolo delle monete nuove", formata dal direttore della zecca, dal direttore della sezione dell'Istituto reale di scienze ed arti, dal reggente dell'Università, dal procuratore regio presso la Corte d'appello, dall'avvocato consulente della zecca, dal prefetto e dal podestà.
Il Ministero dei Dipartimenti italici esercitava le proprie funzioni per il tramite del suo ufficio centrale, il Consiglio generale di amministrazione. Quest'ultimo doveva provvedere al buon governo dei territori annessi da Gioacchino Murat "per tutti i rami di amministrazione". In particolare le sue attribuzioni consistevano nel far eseguire le leggi e le determinazioni del sovrano, vegliare sull'ordine e sulla tranquillità interna, gestire tutti i beni del servizio interno dello Stato, badando soprattutto alla conservazione di opere, edifici, stabilimenti, monumenti pubblici e d'interesse artistico, informare il re delle necessità dei paesi provvisoriamente occupati, e proporgli tutto ciò che poteva rendere loro caro il suo governo. Aveva inoltre il compito di svolgere nell'amministrazione dei detti paesi le medesime mansioni "che secondo le leggi e regolamenti vigenti in ciascuno de' nuovi dipartimenti erano riservate al Consiglio di Stato di Francia, o del Regno italico". Fungeva, infine, da Corte di Cassazione dividendosi, in tal caso, in due sezioni: la prima giudicava dell'ammissibilità o inammissibilità dei ricorsi civili; l'altra "de' ricorsi civili ammessi, e de' ricorsi criminali".
Ciascuno dei consiglieri aveva assegnato un certo numero di rami di amministrazione, per i quali esercitava la carica di direttore generale. A questo scopo egli avrebbe dovuto corrispondere con tutte le autorità dei rami affidatigli, vegliare sull'esecuzione delle leggi, comunicare ai subalterni le sovrane determinazioni che sarebbero state partecipate al Consiglio, o quelle che il Consiglio medesimo avrebbe preso autonomamente. Era inoltre obbligo del consigliere proporre all'attenzione del Consiglio tutti i provvedimenti che le autorità di ciascun ramo avrebbero richiesto al governo centrale, e che egli avrebbe ritenuto opportuni. Aveva comunque facoltà di spedire senza licenza previa gli affari consistenti nella mera esecuzione degli ordini del re o del Consiglio. A differenza dei semplici consiglieri, il presidente non aveva incarichi amministrativi. I suoi compiti consistevano nel tenere la corrispondenza con il ministro dei Dipartimenti italici -a nome del Consiglio generale di amministrazione- e con i commissari "incaricati dell'istallazione del Governo in ciascuno de' nuovi dipartimenti", nel convocare, all'occorrenza, il Consiglio in seduta straordinaria, nel disporre le sessioni della Corte di Cassazione, vigilando sul suo servizio e sulla pronta spedizione delle sue decisioni alle corti e ai tribunali interessati. Da parte sua il segretario del Consiglio generale teneva il processo verbale dello stesso, ne curava l'archivio e assumeva la carica di cancelliere della Cassazione.
Le ampie attribuzioni del Consiglio generale di amministrazione comprendevano anche l'esercizio dell'alta polizia amministrativa sui funzionari pubblici, al fine di esaminarne la condotta "pe' delitti in ufizio". Vastissime erano pure le competenze in materia economica di quest'ufficio centrale, in parte esercitate collegialmente, in parte, invece, demandate al solo intendente generale delle finanze. Gli affari che potevano essere risolti per mezzo della decisione del Consiglio erano, in primis, tutti quelli che appartenevano al contenzioso delle contribuzioni, dei demani e della registrazione, delle dogane, dei dazi e di tutte le altre imposte indirette; e, ancora, tutti quelli concernenti le malleverie dei contabili superiori, quali i cassieri generali, i ricevitori di dipartimento e di distretto, i pagatori; le sospensioni, i rimpiazzi provvisori, all'occorrenza gli arresti di questi stessi contabili in caso di frode o di malversazione; il pagamento delle spese locali determinate anteriormente dai budget emanati dall'autorità ministeriale o da quella degli amministratori generali; il pagamento di eventuali spese straordinarie; "il recupero esatto delle somme dovute al governo".
All'intendente generale delle finanze, invece, era attribuito il compito di corrispondere con i prefetti e i capi di amministrazione, nonché con i contabili di ciascun Dipartimento, dando loro gli ordini necessari per la condotta del servizio ordinario e per l'esecuzione delle leggi e regolamenti in vigore. Egli, inoltre, mandava rapporti al Consiglio generale di amministrazione, e ne faceva eseguire le decisioni sulle materie di sua competenza. Corrispondeva però direttamente con il ministro dei Dipartimenti italici, quando si trattava di esporgli l'avviso del Consiglio circa gli affari riservati all'autorità ministeriale. Gli uffici presieduti da questo funzionario facevano capo a due divisioni, la prima delle quali aveva per oggetto la gestione e la riscossione di tutte le contribuzioni dirette e indirette, dei prodotti delle diverse amministrazioni e monopoli, dei demani e della registrazione, delle dogane, dei dazi, dei sali e tabacchi; la seconda, invece, abbracciava la contabilità, i movimenti, la disposizione di tutti i fondi che entravano nelle casse di distretto o di dipartimento.
Altri organi amministrativi consentivano al dicastero dei Dipartimenti italici di regolare e gestire i rimanenti ambiti della vita civile. La materia dei lavori pubblici, ad esempio, era ordinata da una Commissione, cui era demandato l'incarico di esaminare i progetti formati dagli ingegneri dipartimentali per la conservazione o il perfezionamento delle strade e della navigazione interna, di discutere i piani e le basi dell'appalto dei lavori, di esaminare la contabilità degli stessi, nonché le misure provvisorie o definitive stabilite dagli ingegneri dipartimentali nel corso o alla fine della realizzazione delle opere, di verificare l'esecuzione dei lavori dal duplice punto di vista della qualità della costruzione e della corrispondenza con il progetto ed i piani preventivamente stipulati, di compilare alla fine di ogni anno il prospetto delle spese per l'anno successivo.
L'Amministrazione generale delle poste, invece, si incaricava di regolare il settore postale nei Dipartimenti italici "sia per il servizio delle Lettere che dei Cavalli".
La Direzione generale di polizia, dal canto suo, attendeva al controllo dello spirito pubblico degli abitanti, svolgeva le mansioni correntemente attribuite alla polizia sulle operazioni del commercio e della coscrizione, sul servizio delle dogane, sul movimento dei porti, sulle linee delle coste e delle frontiere, sulle comunicazioni con l'estero, le sussistenze, la libreria, l'istruzione pubblica, le associazioni politiche e religiose. Provvedeva all'arresto dei disertori di terra e di mare e alla verifica dei passaporti.
Un certo numero di magistrati temporanei, i commissari, doveva nel tempo di quaranta giorni visitare ciascuno dei Dipartimenti per rimuovervi gli ostacoli che l'amministrazione interna avrebbe potuto incontrare nel passaggio da un governo all'altro. In particolare dovevano incaricarsi di sostituire momentaneamente i funzionari dei posti vacanti che essi avrebbero ritenuto necessari all'ordine del servizio, e al tempo stesso di presentare al Consiglio generale di amministrazione una nota delle persone cui i suddetti impieghi si sarebbero potuti conferire. Avrebbero avuto, altresì, il dovere di rilevare la condizione di tutte le casse delle percezioni pubbliche e delle amministrazioni dello Stato, rimettendone il prospetto al Consiglio generale. Nella loro sfera d'interesse rientrava anche il rendiconto delle casse dei comuni, nonché lo stato degli stabilimenti pubblici e le proposte relative ai mezzi per migliorarli. Avevano anche facoltà di convocare in via straordinaria i Consigli dipartimentali per chiedere il loro parere intorno alla condotta di tutte le autorità di dipartimento, al carattere, alla probità e alle opinioni dei suddetti funzionari, e intorno agli affari da riformare urgentemente.
La Direzione generale del tesoro dell'armata -organo separato di amministrazione finanziaria- riuniva e disciplinava la contabilità di tutti i fondi versati per i bisogni o le necessità dell'esercito in tre casse centrali, il cui rendiconto era inviato ogni cinque giorni all'attenzione del sovrano dal direttore generale. Quest'ultimo aveva anche l'incarico di spedire al re ogni dieci giorni uno stato comparativo dei bisogni e delle risorse del tesoro dell'armata, proponendo tutte le misure ritenute necessarie per assicurare l'ordine delle percezioni e dei pagamenti, come anche per accelerare ed accrescere l'incasso dei fondi. Corrispondeva, inoltre, con l'autorità amministrativa superiore e con le diverse autorità dei Dipartimenti per tutto ciò che poteva interessare il suo servizio.
Il controllo sulla monetazione veniva infine esercitato da una commissione che avrebbe dovuto togliere "alla ventura e senza scelta i campioni di verificazione dalla massa delle monete state prima rivedute e verificate dagl'Impiegati della zecca".
condizione giuridica
uffici centrali del periodo napoleonico e/o di governo provvisorio
documentazione collegata
Ministero dei Dipartimenti Italici
fonti
A. VALENTE, "Gioacchino Murat e l'Italia meridionale", Torino, Einaudi, 1976.
A. PESSINA, "L'amministrazione murattiana dei Dipartimenti Italici nel 1814", in "Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Napoli", vol. XX, nuova serie VIII (1977-1978), pp. 283-303.